Il vestito di Elia (II dom. di Avv., Anno B, Mc 1, 1-8)

«Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi» (Mc 1,6). Come mai gli evangelisti descrivono con tale precisione il modo di vestire del Battista? Quasi sicuramente perché vogliono farci sapere che indossava lo stesso abito di Elia, il primo profeta di Israele (2Re 1,8). Molti israeliti vedevano nella sua predicazione proprio il ritorno di Elia, che, secondo il Libro dei Re, era stato rapito su un carro di fuoco dentro un turbine (2Re 2,11).

Dunque, l’ultimo dei profeti veste come il primo ed è chiamato a precedere il messia «con lo spirito e la potenza di Elia» e a «preparare al Signore un popolo ben disposto» (Lc 1,17). Con Giovanni Battista si chiude pertanto il cerchio della profezia che con Elia aveva avuto inizio; ma, mentre i profeti precedenti preannunciavano l’arrivo del Messia, Giovanni il Battista «proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo» (prefazio II di Avvento). 

In Cristo tutte le profezie si compiono. Allora non c’è più bisogno di profezia? Ma, da bambini, ci hanno insegnato che con il battesimo diventiamo anche profeti. Come dobbiamo intenderlo?

Ecco: dopo Giovanni il Battista, la presenza di Cristo nel mondo inaugura una nuova modalità di profezia, che non deve più leggere gli eventi della storia orientandoli verso ciò che ancora deve accadere, ma piuttosto interpretarli alla luce di quanto è già accaduto.

Cristo, nella profezia cristiana, diventa la chiave di lettura degli avvenimenti che accadono e li apre alla speranza in vista del suo ritorno glorioso. Questo vale per la storia dell’umanità, ma anche per quella di ciascun credente: un cristiano esercita la sua profezia nella misura in cui, attraverso il filo rosso della sua fede, impara a leggere gli eventi della sua vita quotidiana, anche quelli indesiderati, come occasioni favorevoli per l’incontro con il Signore e per l’esercizio credibile della testimonianza nella sua risurrezione. Perciò la profezia è la forma più alta di evangelizzazione perché spinge chi non crede a interrogarsi sulla bellezza liberante del dono della fede. Il credente infatti sa che nel Cristo annunciato da Giovanni si compie la consolazione proclamata da Isaia: «Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta» (Is 40,1s). E’ Cristo, infatti, quella “Via Santa” (Is 35,8) che Dio traccia nel deserto dei cuori umani, colmando le valli di ogni angoscia e abbassando i monti di ogni superbia, cosicché possa veramente raggiungerci là dove è il nostro peccato e dove è la nostra tribolazione; e liberarci. Gesù dice all’apostolo Filippo: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6). In Avvento, dunque, siamo chiamati ad attraversare l’aridità del nostro cuore e ad entrare, imitando Gesù, nelle acque del Giordano; esse sono quelle del nostro battesimo. Anche su di noi i Cieli si aprono, e il Padre ci chiama suoi figli. Da queste acque sempre ripartiamo, se vogliamo essere profeti del suo Regno.

 

Testo già pubblicato da Liborio Palmeri sulla rivista CREDERE del 10\12\2017

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