«Non piangerò più inutilmente» (Pasqua di resurrezione, Anno A)

Per il cristiano la Pasqua non può essere semplicemente una festa, sebbene la più solenne e fulcro di tutto l’anno liturgico.

Essa è una trasformazione e una condizione dell’essere, il respiro esistenziale del battezzato che vive nel respiro di Cristo Risorto, nel suo Santo Spirito. Con la sua resurrezione Gesù ha mutato la condizione dell’uomo vecchio, peccatore in Adamo, nell’uomo nuovo, vivificato dalla sua Grazia e che può rivolgersi a Dio nell’indicibile confidenza di chiamarlo «Abbà, Padre»! Canta la sequenza di Pasqua: «L’agnello ha redento le pecore, Cristo innocente ha riconciliato al Padre i peccatori», perciò «chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati» (At 10, 43). Dunque non c’è gesto, non c’è parola, non c’è momento, anche dell’anno liturgico, che non trovi la sua motivazione nella Pasqua; infatti «se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo Cristo è morto ed è ritornato alla vita» (Rm 14,8). Occorre dunque vivere la solennità della Pasqua con questo spirito, ricordandoci che ogni eucaristia fa memoria del Signore morto e risorto “nell’attesa della sua venuta“.

Di san Francesco questo si dice nelle Fonti:  che rivolto ai suoi frati «li ammaestrò con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il deserto del mondo in povertà di spirito» (Leggenda Maggiore, VII). Queste parole sono davvero un programma pasquale di vita spirituale. Ci ricordano infatti che la parola “pasqua” significa “passaggio”, ricordando il “passaggio” di Israele attraverso il Mar Rosso e poi attraverso il deserto per quarant’anni fino alla terra promessa. Per Francesco celebrare continuamente la pasqua significa passare da questo mondo al Padre, ma non alla fine, non al momento della nostra morte, ma adesso, “nel deserto del mondo”, mantenendo un atteggiamento di umiltà e povertà spirituale. Si tratta di consegnare ogni giorno al Padre, mediante la potenza di Cristo risorto, la nostra condizione di peccatori, orientando in alto lo sguardo e consegnando le nostre fragilità da questo mondo al Padre «dove è Cristo, seduto alla destra di Dio» (Col 1,1), Lui, la nostra terra promessa.

Dovrebbe essere la gratitudine e la gioia il nostro modo di portare la Pasqua nella nostra vita quotidiana. Il poeta David Maria Turoldo, in alcune poesie intitolate Per il mattino di Pasqua, esprime questa ineffabile emozione di essere salvato, non sa come esprimere la sua gratitudine, come restituire al Signore il bene che ha ricevuto: « Io vorrei donare una cosa al Signore, ma non so che cosa. Andrò in giro per le strade zuffolando, così, fino a che gli altri dicano: è pazzo!». In un mondo pieno di tristezza e in questo momento di tante inquietudini per la salute del corpo, la Pasqua dovrebbe restituirci la gioia profonda dell’anima, annuncio per tutti. Così infatti conclude il poeta: «Non piangerò più, non piangerò più inutilmente; dirò solo: avete visto il Signore?».

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