“Ama, e fa’ ciò che vuoi!” (Anno B, Pentecoste, Gv 15, 26-27; 16, 12-15)

C’è una continuità e un superamento tra la festa di pentecoste celebrata dal popolo ebraico e la pentecoste cristiana. Essa infatti indica il cinquantesimo giorno di due avvenimenti diversi.

La pentecoste ebraica ricorda il momento in cui Mosè, cinquanta giorni dopo l’esodo pasquale di Israele dall’Egitto, ha ricevuto da Jahvè sul monte Sinai, e ha consegnato al popolo, le tavole della legge, fatte di pietra con sopra incise le dieci parole (o comandamenti) che costituivano la Legge da osservare.

La pentecoste cristiana ricorda il momento in cui Gesù, cinquanta giorni dopo la sua resurrezione, ormai alla destra del Padre, consegna agli apostoli riuniti il dono dello Spirito Santo, promulgando nei cuori una Legge nuova per un popolo nuovo, tratto da tutti i popoli della Terra. La Legge dell’antica alleanza, scritta su tavole di pietra, è stata superata dalla nuova Legge, quella dello Spirito, ora incisa direttamente nel cuore dei credenti. Bellissimo è, a tal proposito, quello che scrive san Paolo ai Corinzi: «È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2 Cor 3,3). Non è più una Legge fatta di prescrizioni e di decreti a guidare la vita del cristiano, ma una Legge di libertà che sgorga nel cuore dall’Amore di Cristo, dal suo Spirito; come dice ancora Paolo:« Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!» (Rm 8,15). Dunque, l’obbedienza a Dio non passa più attraverso una legge esterna che dice cosa bisogna fare, ma attraverso una legge interiore che sa cosa bisogna fare in forza dell’intimità con il Signore Gesù donata dallo Spirito. E’ una legge che muove innanzitutto l’intenzione, perché se l’intenzione sgorga dall’Amore allora ogni azione ne sarà espressione; perciò San Paolo dice: «La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rm13,10); e Agostino sintetizza: «Ama e fa’ ciò che vuoi».

Ma la nostra libertà desidera davvero questo «dolce ospite dell’anima»? Gesù lo promette ai discepoli e lo chiama in diversi modi; in particolare lo indica come Paraclito, che potremmo liberamente tradurre: “Uno che sta sempre con te”. Lo Spirito Paraclito dunque non ci fa mai sentire soli, ci ricorda le parole di Gesù ed è la nostra memoria spirituale, ci fa camminare nella verità di Cristo per dischiuderla tutta intera verso il futuro della storia, prega dentro di noi con gemiti inesprimibili, purifica il nostro cuore dalla sporcizia lasciata dal peccato e ci fa uscire dall’aridità spirituale che ne è conseguenza, sana le nostre ferite, ci addolcisce nella durezza, ci riscalda nella freddezza, corregge i nostri vizi e dalle vie tortuose dell’inganno ci riporta al bene; conferma la nostra fede, alimenta la nostra speranza, ci restituisce la gioia del vero Amore. Ma siamo liberi: come può agire in noi, se non lo invochiamo?

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